Questo impulso deriva da un bisogno primitivo di proteggersi da una minaccia esterna: fisica, o pseudo-fisica.
A livello neuro-cerebrale, viviamo l’esperienza di esprimerci davanti ad un pubblico come un attacco, come una minaccia per la nostra persona.
Fisiologicamente percepiamo il pubblico come una minaccia e, di conseguenza, la paura e l’agitazione sono le risposte fisiche che molte persone hanno. Ma, allo stesso tempo, l’idea di doversi esporre di fronte a un pubblico, spinge il relatore a reagire come se si trovasse di fronte a una situazione di: mancanza di respiro, rossore al viso, tremori o paralisi.
Per questo stesso motivo, quando ci si sente a disagio con un gruppo di persone, si può desiderare di andarsene, e quindi si risponde alla minaccia fuggendo.
La paura di parlare in pubblico può essere legata anche alle caratteristiche soggettive di un individuo e quindi non è più correlata a comportamenti ancestrali condivisi da tutti gli esseri umani. Questo disagio è correlato alla percezione che ogni persona ha della serietà o dell’importanza che l’argomento di cui si deve trattare ha. Inoltre, le esperienze negative vissute in passato, come possono essere la balbuzie o le disabilità fisiche in generale, generano dei complessi e numerose insicurezze nell’individuo.
Un altro fattore genetico è la fobia, una paura ansiosa, per lo più immotivata, e quindi patologica, come un’avversione istintiva e invincibile per qualcosa.
Le fobie sono strettamente soggettive. Anche la glossofobia, la vera e propria paura di parlare in pubblico presenta una precisa sintomatologia. I sintomi generalmente includono tremori incontrollabili, sudorazione e frequenza cardiaca elevata.
In sostanza, la differenza tra la glossofobia e la paura generale di parlare in pubblico è l’entità di questi sintomi. Tuttavia, è riconducibile a un’unica causa: sentirsi sotto pressione o a disagio nel parlare di fronte a un pubblico.
La capacità di superare la paura di parlare in pubblico, i pensieri e le strategie da mettere in atto devono considerare quanto questa paura sia radicata nell’individuo.
Nei casi più gravi, quando si parla di fobia patologica vera e propria, il miglior regime terapeutico diventa la terapia cognitivo-comportamentale, che prevede una serie di tecniche e strategie per modificare cognizioni distorte e superare situazioni che creano l’avversione.
Il lavoro cognitivo mira a sviluppare la capacità di rimanere concentrati sul momento presente senza controllare costantemente ciò che sta accadendo intorno a te senza fare domande.
Il lavoro cognitivo permette di raggiungere questa concentrazione estraniandosi rispetto al contesto contesto che rende il lavoro vulnerabile e un ansiolitico naturale aiutando a migliorare le prestazioni in modo esponenziale.
D’altra parte, il lavoro comportamentale utilizza un’esposizione graduale alla situazione che crea la fobia, sia in un contesto immaginario che nella vita reale; applicando le tecniche cognitive acquisite. Le condizioni temute dovranno allora essere scomposte in unità più semplici ed essere progressivamente affrontate.
“Il valore a cui attribuiamo
noi stessi non dovremmo mai dipendere
su una singola prestazione; fabbricazione
errori non necessariamente
portare a giudizi negativi e
anche se lo fa, c’è sempre un
modo per tollerarli : l’ansia è
un’emozione e quindi, sempre
ha un margine di controllabilità
e soprattutto è normale
esperienza che tutti hanno
quando messo alla prova”.
Esempio descrittivo del programma giornaliero
Puoi provare a risolvere da solo l’ansia legata al doverti esprimere di fronte a un. Quando non si tratta di una fobia radicata però, potrai avvalerti di alcune tecniche preziose per affrontarla, che potremmo riassumere come segue:
- PREPARAZIONE
- RESPIRAZIONE
- TONO DELLA VOCE E POSTURA
- VISUALIZZAZIONE